Consulente Finanziario
Il ruolo e il valore del Consulente Finanziario non sono ancora ben chiari a molti risparmiatori. Spesso la sua figura viene confusa come quella di un collocatore di prodotti o come un operatore di Banca o Posta, piuttosto di un trader o broker, che sono un’altra cosa. Qualche elemento di maggiore chiarezza possiamo subito ricavarlo a partire dalla completezza della sua attuale definizione: il “Consulente Finanziario abilitato all’offerta fuori sede” è intanto colui che, a differenza dell’operatore bancario o postale, può seguire i propri clienti anche nelle loro residenze o luoghi di lavoro, avvicinandosi così alle realtà quotidiane e progettuali delle persone assistite.
Inoltre, chi ancora ne confonde – talvolta anche dispregiativamente – il ruolo con quello del Promotore Finanziario ignorali, che questa figura non esiste più per effetto della Legge di Stabilità approvata in data 22/12/2016. La differenza non è soltanto nominale, perché la professione del Consulente Finanziario in questi ultimi anni si sta trasformando sempre più in una Consulenza Patrimoniale complessiva. In tal senso, la sua attività parte dal penetrare a fondo nella vita del cliente per comprenderne non solo i bisogni in termini finanziari, ma anche le sue paure, e contribuire alla realizzazione dei suoi desideri e dei sogni ma pure alla prevenzione dei rischi, anche quelli più latenti.
Può fare il Consulente Finanziario chiunque? Certamente sì. Deve avere i requisiti di onorabilità e l’assenza di situazioni impeditive o di incompatibilità con l’attività, deve cioè essere in possesso dei requisiti di onorabilità stabiliti dall’art.4 del Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 24 dicembre 2008, n. 206 e non versare in una delle situazioni impeditive previste dall’art.3 dello stesso Decreto Ministeriale. Soprattutto, però, deve superare un esame, non facile, per l’iscrizione all’Albo Unico dei Consulenti Finanziari e conseguire un aggiornamento annuale minimo di 30 ore con test finale.
Al primo incontro con il tuo Consulente lui non ti presenterà subito una soluzione con l’offerta di prodotti di periodo (se lo facesse, mandalo subito via: d’altra parte ci sono anche, cattivi dottori, cattivi avvocati, cattivi idraulici…), ma vorrà prima conoscerti. Molti Consulenti si definiscono “architetti finanziari”, in quanto, come per la costruzione di una casa, anche per un portafoglio occorre iniziare da solide fondamenta, che nel nostro caso è la “tutela”. Uno può essere un investitore alla “Warren Buffett”, ma se non si protegge da eventuali rischi il suo impegno può rivelarsi del tutto inutile. Quindi un buon Consulente Finanziario vi chiederà che tipo di attività svolgete: c’è infatti molta differenza di rischio da coprire, a seconda che uno svolga un lavoro autonomo o sia dipendente; se siete sposati, sigle, conviventi o coppia omosessuale avendo diverse tutele da valutare; se avete figli, semmai minori; se siete monoreddito, se avete un mutuo e così via. Dopo questa prima valutazione si procederà alla compilazione del questionario di valutazione da cui si identifica il profilo di rischio, la conoscenza in materia finanziaria, l’obiettivo temporale di breve, medio, lungo e lunghissimo termine e da lì si potranno valutare i vari obiettivi. Dopo di chè, si inizierà a costruire il portafoglio.
Al primo piano verrà inserita l’esigenza di “liquidità” con tutti quegli strumenti in cui non si guarderà al rendimento, ma all’immediato utilizzo. Al piano superiore andrà la “riserva”, destinata ad esigenze di breve periodo, nell’arco dei prossimi anni. Andranno qui prodotti con bassa volatilità, un rendimento che copra almeno l’inflazione e facilmente liquidabili in caso di esigenze di un maggior utilizzo della liquidità. Salendo ancora di un piano, avremo la “Previdenza”. Contenitore “INDISPENSABILE” per un giovane, inopportuno per uno che è già in quiescenza. Il quarto piano sarà destinato all’ “Investimento” vero e proprio, quello che io amo definire “dare un nome ai soldi”. Chiameremo così, ad esempio, “Marco” quell’accantonamento per il figlioletto che andrà a coprire i suoi studi universitari o l’apertura di una futura attività; “Auto”, quello per il suo acquisto tra x anni; “Sicurezza” quello invece per mantenere un uguale tenore di vita dopo la cessazione dell’attività lavorativa. Infine, progetteremo un “attico”, più piccolo degli altri, perché questo rappresenta il vero “extra-rendimento”. Qui metteremo quelle disponibilità che ci possiamo permettere anche di perderle o di tenere ferme per molti anni perché queste non sono destinate a mandare a scuola i figli, acquistare una casa, un’automobile o altro.
Ovviamente ognuno di noi è un investitore diverso da un altro e per questo motivo ogni obiettivo (piano) potrà avere una diversa percentuale. Ecco, a questo punto e solo ora parleremo di prodotti adeguati a coprire le varie esigenze.
Il lavoro del Consulente non termina qui, anzi inizia proprio da qui con un continuo monitoraggio per capire se le esigenze del cliente siano variate nel tempo
Ma quanto costa un Consulente Finanziario? Io preferisco chiedere “quanto costa non avere un Consulente Finanziario?”. La sua retribuzione, essendo un libero professionista e non un dipendente di banca, varia in base al patrimonio dei clienti che gestisce. Se un cliente non è soddisfatto del suo servizio è libero di cambiare consulente o rete. Così il cliente, per un Consulente è particolarmente prezioso! Se uno lo lascia, lui avrà un danno economico a differenza del dipendente di banca il cui stipendio non varia. Al Consulente infatti viene riconosciuta una parte delle commissioni che il cliente paga.
Ma quali sono queste commissioni? Prima di tutto avremo quelle di sottoscrizione, che sono espresse in percentuale. Ad esempio, su 100.000€ a fronte di una commissione del 2% saranno investiti 98.000€. Anche se ingiustamente, perché nessuno lavora gratis, queste commissioni possono essere comunque motivo di contrattazione. Poi dobbiamo considerare le commissioni di gestione che vanno alla SGR che materialmente gestisce i denari del cliente. Una parte viene riconosciuta alla rete e a cascata al consulente. Poi possiamo infine, parlare di commissioni di distribuzione, che vengono percepite dalla rete e sempre a cascata prevedono una percentuale per il Consulente. Esistono inoltre molti comparti di fondi con una diversa base commissionale, identificati con una diversa lettera dell’alfabeto. Ad esempio, una classe A prevede commissioni di ingresso (sempre contrattabili) e commissioni di gestione, mentre una classe B prevede zero commissioni di sottoscrizione, ma con la presenza di commissioni di gestione e di distribuzione. Assieme al Consulente, si sceglierà la soluzione più adatta ed economica per il cliente.
Come viene pagata questa commissione? Direttamente e giornalmente dalla “quota” del fondo comune. Questo cosa vuol dire? Facciamo un esempio: su un investimento di 100.000€, se la commissione complessiva è dell’1,5%, ammonterebbe a 1.500€ annui. Questa somma viene divisa per il numero dei giorni e prelevata quotidianamente dal valore del NAV del fondo. Giusto non giusto? Io penso che il cliente abbia una immediata visione di quanto ha guadagnato o perso. Mettiamo sempre i 100.000€, e supponiamo che dopo un anno siano diventati 120.000€; ecco, in caso di liquidazione, il cliente sa che in quei 20.000€ sono già state dedotte tutte le commissioni.
Ovviamente, queste commissioni si pagano anche in caso di perdita! Molti clienti pensano che sia giusto che il consulente, la rete e il gestore siano pagati solo in caso di guadagno. Affermazione utopica, come dire all’avvocato di essere pagato solo se vince la causa, al dottore solo se ti fa guarire o al macellaio solo se la carne è buona! Uno paga il servizio non la performance. In ogni caso, questo metodo di pagamento abbraccia tutto il risparmio gestito cioè fondi comuni, gestioni patrimoniali e perfino gli ETF distribuiti anche da sportelli bancari e postali, il questo caso tutte le commissioni, anche senza possibilità di contrattazione vengono interamente recepite dalla Banca o Posta. Da considerare che quando si sottoscrive una obbligazione bancaria ci sono in media un 3% di commissioni di collocamento, di solito non percepite.
Investitore fai da te
Noi siamo un popolo di risparmiatori, ma non di investitori: si spiegano così gli oltre 1.400 miliardi di Euro fermi sui conti correnti. Questo ha cause diverse; l’incertezza del momento che stiamo attraversando, le esperienze negative a seguito dei fallimenti delle varie banche, ma soprattutto la cattiva educazione finanziaria che ci colloca agli ultimi posti tra i paesi dell’area OCSE. Strano, perché da una recente indagine della CONSOB, alla domanda “come si collocherebbe come educazione finanziaria?”, l’80% degli intervistati ha risposto “sopra la media”; poi però a domande specifiche, come “cosa è l’inflazione, o la differenza tra interesse semplice e composto?”, il 60% non ha saputo rispondere. Eppure, con tutto ciò, ci sono investitori che preferiscono ancora il fai da te. Io penso che sia un discorso strettamente culturale. Un tempo esistevano prodotti di risparmio semplici, libretti di risparmio, certificati di deposito, titoli di Stato con un alto rendimento. Oggi questi strumenti sono indubbiamente superati, tutto è più complicato, anche nel fare la spesa, figurarsi con gli strumenti finanziari! L’ingegneria finanziaria ha creato nuovi prodotti sempre più sofisticati, che richiedono adeguate competenze in continuo aggiornamento. Con i titoli di Stato, ad esempio, oramai da diversi anni, con rendimenti negativi appare difficile fare da sé. Non ci dobbiamo poi lamentare che come contribuenti siamo stati chiamati a pagare un salatissimo conto per i rimborsi dalle banche andate in crisi! Con ciò, è molto difficile che qualcuno possa ancora pensare che facendo da sé possa fare meglio di esperti del settore che sono sul mercato da molti anni. Perché? Perché ciascuno di noi ha certe competenze, si può essere esperti in medicina, in legge oppure in qualsiasi altra attività… Poi nel già poco tempo libero, quanto possiamo ritagliarne per studiare, informarci, aggiornarci sul mondo della finanza? Allora come si comporta un investitore autonomo? Escludendo chi acquista titoli azionari o obbligazioni a titolo speculativo, si riempie di titoli o ETF (diamine i fondi comuni costano!!!) senza alcun scopo, oppure si affida a robot advisor con prodotti standard. Cosi, molto probabilmente, sarà più predisposto a titoli nostrani senza attuare una diversificazione geografica e senza decorrelare correttamente gli strumenti tra di loro. Ci si affida quindi a Internet, qualche volta al Sole24Ore. Basta andare su Google e controllare: tra le ricerche più gettonate ci sta proprio la voce “ETF più redditizi”, ma non sempre, però, ciò che in passato un titolo ha reso sarà mantenuto o confermato in futuro! Le sue “stellette” di rating brillano come quelle astrali, riflettendo così più il passato che il presente o il futuro, ma soprattutto sono un elemento tra tanti altri da considerare. Con gli ETF siamo avvantaggiati perché non abbiamo né il Beta né l’Alpha, ma il profilo di rischio, la volatilità, ed inoltre, tracking error, sharpe ratio, grado di diversificazione o decorrelazione su un portafoglio. Tutti coloro che preferiscono fare da sé dovrebbero ben conoscere almeno tutti questi parametri… Molto più spesso, però, un investitore autonomo pensa di risparmiare ma in realtà rischia persino di pagare molto di più di quanto gli costerebbe affidarsi ad un professionista.
Inoltre, quando ad esempio si “architetta” un investimento a 5 anni, è dannoso oltre che inutile controllarne l’andamento una volta al mese o peggio ancora a settimana. Si tratta infatti di un progetto su lungo periodo, che non deve essere valutato sulle quotidiane oscillazioni di mercato: è facile infatti sentirsi gratificati nei momenti di euforia, quando tutto va bene e tutti gli asset sono in crescita, o al contrario deprimersi nei periodi di maggiore volatilità di mercato, come accaduto nel 2018, con la diffusa tendenza a tenere tutto in liquidità. Per questa ragione, sempre maggior rilievo sta assumendo la Finanza Comportamentale, che ad opera di psicologi più che economisti studia proficuamente gli errori più comuni degli investitori che si muovono senza consulenza, spesso comportandosi in modo dannoso ai proprio interessi a lungo periodo.
Nei costi, che ovviamente influiscono sui rendimenti, si deve inoltre considerare quante ore tu puoi dedicare effettivamente ai tuoi risparmi? Questo ha un valore ed un costo, anche se spesso non percepito. Altrimenti, è come partecipare ad un corso on-line, ad un webinar di finanza o medicina e pretendere di curarsi da soli sia la salute che il patrimonio!
Qual è quindi la ricetta migliore?
È vero, io sono di parte e in pieno conflitto d’interessi, ma senza dubbio affidarsi ad un professionista è certamente il tuo miglior investimento. Tu svolgi certamente un’altra attività che ti impiegherà molte energie e tempo, talvolta anche il tuo tempo libero. Affidarti quindi all’esperto di “Fiducia” ti costerà indubbiamente meno che fare da solo, costruendo la fiducia proprio a partire dall’eliminazione del timore di passare da inesperti. Anche per questo motivo solitamente preferisco confrontarmi con clienti donne, perché loro hanno minori timori e remore nel fare domande, anche le più semplici e disparate, per poter capire meglio e sentirsi così guidate con competenza e professionalità da un Consulente Finanziario opportunamente abilitato.