Siamo fuori da tunnel?
di Silvio Frontini | pubblicato il 13 novembre 2021
Nel 2013 il tormentone di moda era il brano di Caparezza “Fuori dal tunnel”. L’Italia è ora fuori dal tunnel della recessione tecnica, ma…
La notizia degli ultimi giorni è quella che l’Italia è fuori dalla recessione tecnica. Facciamo un po’ di chiarezza: si parla recessione tecnica quando il prodotto interno lordo (Pil) segna una variazione congiunturale negativa per due trimestri consecutivi.
Diversa dalla recessione tecnica è la recessione economica, che si verifica in presenza di una variazione negativa del Pil rispetto all’anno precedente. Se questa variazione è negativa, ma con un valore minore del 1%, si parla di “crisi economica”.
La recessione tecnica dell’Italia, di cui si è parlato nei mesi scorsi, stava ad indicare che il Paese si trovava in una situazione in cui i livelli dell’attività produttiva risultavano inferiori rispetto a quelli raggiungibili nel caso si fossero utilizzati appieno e in modo efficiente tutti i fattori produttivi a disposizione.
Siamo quindi passati da una variazione congiunturale negativa pari al -0,1% dei mesi di Novembre e Dicembre 2018 a una variazione positiva pari a +0,2% nel Gennaio 2019.
La rivalutazione dei contributi pensionistici
Dovremmo essere contenti dell’uscita dalla recessione tecnica del nostro Paese?
Come contribuente INPS non ne sarei particolarmente contento.
Questo perché la rivalutazione dei contributi accantonati ogni anno avviene in base alla media mobile quinquennale della crescita della ricchezza nazionale, ovvero all’incremento del PIL nominale. Questo comprende anche il tasso di inflazione che si registra anno per anno.
Inoltre, a causa della crisi economica che sta tuttora colpendo l’Italia, i tassi di capitalizzazione sono bassi e, di conseguenza, lo è anche la rivalutazione dei contributi.
Si può notare che negli ultimi 10 anni i rendimenti sono rimasti stabili o poco superiori all’1%; hanno toccato il punto più basso nell’anno 2015, quando non c’è stata nessuna rivalutazione del capitale maturato.
La rivalutazione della pensione, inoltre, risulta esigua non solo per il basso tasso di capitalizzazione, ma anche a causa dei coefficienti di trasformazione utilizzati.
Questi coefficienti hanno l’obiettivo di convertire in assegno di pensione il montante contributivo rivalutato, cioè la somma dei contributi rivalutati. Quindi, più è basso il coefficiente di trasformazione, più risulterà basso l’importo della pensione erogata.
Purtroppo i coefficienti di trasformazione fissati nel 2019 sono notevolmente ridoti rispetti a quelli fissati nel triennio 2016-2018, che già risultavano inferiori rispetto ai precedenti.
Risulta difficile riuscire ad invertire il meccanismo in atto; più la ripresa tarderà ad arrivare, più le pensioni daranno rendimenti sempre più bassi.
Alla luce di quanto esposto, considerando i rendimenti attuali molto vicini ai bassissimi rendimenti dei conti deposito, pensare di avere una pensione futura che ci possa far continuare a beneficiare del tenore di vita attuale è molto difficile.
Un’indagine ha stabilito che 7 persone su 10 percepiranno una pensione che non sarà sufficiente per mantenere una badante.
È quindi chiaro che bisogna cercare di affrontare questa seria problematica ora, senza rimandare al futuro.
Cosa bisogna fare per affrontare questo problema?
È fondamentale iniziare a considerare seriamente una forma pensionistica complementare, con lo scopo di incrementare l’assegno mensile dell’INPS che percepiremo quando andremo in pensione.
Sono a tua disposizione per approfondire il tema e trovare la soluzione più adatta alle tue esigenze future.